BARATTI, PRIMO CAMPO BOE DELLA TOSCANA
Intervista di Franco Bechini a Giancarlo Cappelli, “re” di Baratti, titolare della Base Nautica Rada Etrusca, con sede a Porto Baratti 38.
Giancarlo, da quanti anni sei a Baratti?
A Baratti ci sono nato.
E quando hai iniziato a tenere barche ormeggiate in rada alla boa?
Ho cominciato nel 1966. Sono stato imbarcato quattro anni su un pontone, col quale costruivamo porti e dighe lungo la costa ligure. Nel tornare a Baratti decisi di iniziare questo lavoro di ormeggiatore. A quell’epoca qui c’erano solo tre pescatori che, quando faceva libeccio, tiravano la barca a terra. Perché Baratti è riparato da tutti i venti, meno che da libeccio e ponente.
Quindi a Baratti fino al 1966 non esistevano corpi morti, si ormeggiava solo sull’ancora. E tu come decidesti di iniziare la tua attività di ormeggiatore?
Prima d’imbarcarmi sul pontone facevo il pescatore a Baratti. Qui in estate arrivavano barche a vela di passaggio che andavano all’Elba. Con le sciroccate, che poi giravano a libeccio, queste barche rimanevano bloccate nel golfo di Baratti. Col fondo poco tenitore, di notte si scatenavano vere tragedie; barche che finivano in secca sulla spiaggia, provocando veri disastri, non essendoci nessun gavitello cui attaccarsi. Così pensai di creare un punto di ormeggio e guadagnarmi da vivere gestendo un impianto nautico.
Quindi hai rischiato molto, lasciando un lavoro sicuro per l’incerto, siamo nel 1966.
Iniziai questo lavoro con pochi soldi, non ne avevo abbastanza per comprare catenarie e il resto. Comunque mi dette una mano il comm. Tito Neri, buonanima, mandandomi un camioncino carico di catene e cime per gli ormeggi. Così realizzai il primo impianto tutto di catenarie, lavorando sott’acqua come una bestia. Poi, col tempo, vidi che quando a Baratti il mare picchiava e c’erano onde grosse, l’ormeggio era troppo pesante per barche a vela e da diporto. Così si rischiava, avendo l’impianto rigido, di strappare le bitte alle barche. Allora abbandonai le catene e iniziai con i cavi vegetali grossi, quelli da ormeggio per le navi.
Cavi vegetali da mercantili, ma di quale diametro?
Diametri enormi, da grandi mercantili. Andai a Spezia e comprai due camion di questi cavi.
Questo avveniva in che anno?
Nel 1973.
Quindi hai fatto un noviziato di 7 anni per comprendere che le catenarie non andavano bene e occorrevano ormeggi morbidi, appunto di cima vegetale.
All’inizio l’impianto l’avevo realizzato troppo rigido, e allora alla bozza di catena che veniva a galla dovevo dargli imbando con la cima di bordo della barca, così quando c’era l’onda si alzava la catena pesante di un metro e non strappava sulla bitta. Però con la catena in quel modo, la barca restava molla, e quando non c’era onda le barche battevano tra loro. Così studiai il sistema nuovo, lasciai le catene e iniziai con questi grossi cavi vegetali.
Ma con i cavi hai usato un sistema tutto particolare, vuoi descriverlo?
Con i cavi ho costituito una ragnatela, prua-poppa, prua-poppa, prua-poppa, e ancora ammiragliato al primo cavo come tirante. Così le barche restano collegate l’una con l’altra. E quando viene l’onda, il cavo si solleva, ma dolcemente, perché ho messo dei blocchi di 25/30 kg, separati l’uno dall’altro. Passata l’onda, il cavo si abbassa nuovamente, sempre con dolcezza.
Quindi hai creato una rete tutta armonica, un blocco unico.
Esatto. Naturalmente questo richiede un costante controllo, ogni mattina verifico che nessun cavo strusci contro i blocchi, altrimenti si sega. Perché quei cavi, anche se fuori dell’acqua muoiono perché il sole li cuoce, in mare sono eterni, però non debbono fregare contro uno scoglio.
Vorrei una conferma: si tratta di cavo vegetale, come quello di una volta?
Cavo vegetale, che oltre a tutto è meno dispendioso. Ed è il migliore per questo lavoro. Richiede solo un controllo, come dicevo, per difenderlo dall’usura meccanica. Anche in estate mando il sommozzatore sotto e li verifico uno per uno.
E’ da questa grande attività di controllo che nasce la tua teoria, che consiste nel difendere il prezzo piuttosto elevato da far pagare per stare all’ormeggio, appunto perché si richiede molto più lavoro che non al pontile.
La mia opera costa, perché la svolgo effettivamente. L’anno scorso spesi qualcosa come 10/12 milioni di materiale per sostituzioni.
Quindi grande controllo, grande sorveglianza, e sovente manutenzione e sostituzione.
Io sono anche un po’ esagerato, appena vedo una cima un po’ sfilacciata, non aspetto a sostituirla, perché voglio che le barche stiano sicure. Comunque, con un impianto così, ho trovato la mia soddisfazione, è un lavoro che ho creato da solo, poi sono venuti altri, che si sono affiancati, copiandomi quanto avevo realizzato. La mia soddisfazione è che a Baratti, 30 anni fa quando iniziai, c’erano tre barche di pescatori, e col libeccio o il ponente si dovevano tirare a terra. Oggi io faccio la stagione da maggio a ottobre, con qualche barca che rimane anche in inverno, con tutti i tempi, e in terra non si tira più niente.
Quindi dal nulla hai creato un porto.
L’unica cosa che manca, e la chiedo da una vita, è di poter installare un frangiflutti galleggiante, anche da posizionare solo in estate e toglierlo in inverno; ma mi è stato sempre negato.
Quello di Baratti è stato il primo campo boe, storico possiamo dire, realizzato in Toscana.
Il grosso pregio di Baratti è che si entra e si esce con tutti i tempi, come fosse un porto-rifugio dovuto al ridosso naturale della zona. Diverse volte, dal 1972/73 in poi, sono stato avvertito telefonicamente dalla CP che sarebbero arrivati a Baratti, per fermarsi qui, dei motoscafi di 10 metri partiti dalla Corsica che non potevano entrare a Livorno a causa del libeccio forza 6/7.
Non erano in grado di entrare a Livorno?
No, perché a Livorno quando c’è libeccio, sull’imboccatura ci sono i frangenti.
Quindi si potrebbero valorizzare questi golfi naturali senza fare violenza all’ambiente, però salvando la pelle di chi va per mare, spendendo il giusto.
Per quanto riguarda le spese di gestione, c’è da dire che l’ormeggio costa. Ma a Baratti la barca è coperta da assicurazione contro il furto e i temporali, e fruisce del sevizio di acqua potabile a bordo. Dispongo di 300/400 metri di manichette e porto l’acqua a tutte le barche. Da quando iniziai ad ormeggiare, l’acqua fu la prima cosa che offrii. Inoltre si debbono tenere tre o quattro barche a motore con gente idonea a fare il servizio di traghetto per andare a terra e ritornare a bordo. E si debbono avere da 15 a 20 barche a remi per quelli che hanno necessità di muoversi fuori orario. Durante la notte, infine si effettua la sorveglianza con nostro personale.
Quindi qui esiste un’organizzazione, pur diversa da quella di una base nautica classica in porto, però parimenti efficiente. Siamo di fronte quasi ad un approdo turistico, solo che non esiste alcuna struttura protettiva dal mare.
(Nautica, marzo ’96)